[SINDROME DI PENELOPE: QUANDO L'ATTESA LOGORA]
Sono cresciuta con narrazioni inusuali.
Mi ricordo che stavo ore ferma ad ascoltare la zia preferita a raccontare -
e come lo faceva lei davvero nessuno - storie che sembravano mirabolanti
avventure.
Io e mia sorella gemella restavamo incantate.
Non c'era niente che non rapisse la nostra attenzione in quell'attento e
meticoloso tessere di parole che la zia era in grado di articolare, nemmeno
fosse di fronte ad un telaio.
Per ironia delle metafore era proprio di una tela che amava raccontare e
affabulare.
Io non sapevo che parlasse di EPICA né di letteratura antica.
Sapevo che c’erano alcuni personaggi: Ulisse, Penelope, sua moglie, e un
certo Polifemo.
Un gigante da un occhio solo che si faceva gabbare da Ulisse.
E lui, Ulisse, NON tornava mai a casa…stava in giro tra sirene, proci e
Meduse non propriamente facili da descrivere a due bambine di 4 anni.
Quello che però la zia sottolineava con peculiare attenzione era il fatto
che la brava Penelope teneva banco nel regno di Ulisse, suo marito, mantenendo
intatta la sua virtù facendo e disfacendo una tela.
Di giorno tesseva e di notte la sfilava. In attesa che Ulisse tornasse.
Che poi Ulisse è tornato.
Perché ti racconto di me bambina?
Beh, in effetti perché mi piace ricordare questi momenti di calore intorno
alle parole narrate da una zia che imprimeva amore attraverso la sua mimica
facciale.
Meglio di un film, credimi!
Era – ed è ancora – terribilmente brava ad affascinare con la sua capacità
di tessere storie e trame che intrappolano la tua attenzione, fino a farti
pendere dalle sue labbra ricamando emozioni su emozioni.
Finchè vuoi la fine dell’epica storia.
Solo molto più tardi ho scoperto della VERA STORIA di Ulisse e Penelope.
Fino ad allora erano la mia Cenerentola e principe azzurro.
Ed eccolo lì, il punto che mi ha risvegliato questa storia.
L’attesa.
Sapeva che la sua era
strategia. Era furba, virtuosa e con due palle così.
Più telaio ovviamente.
Tenere a bada l’attesa del rientro di Ulisse di fronte ai suoi usurpatori
era cosa da donna forte.
Solo che dopo di lei, questo concetto dell’attesa deve aver subito una
strana metamorfosi.
Perché si presenta in tanti modi l’attesa.
Nelle stagioni.
Nella gravidanza.
Nella vita personale.
Nella ambizione professionale.
Tutti ad attendere estati, bambini, amori, risultati.
Come forse sai, amo giocare con le parole, e l’ho fatto anche con l’attesa.
Lo faccio tutte le volte che me la trovo davanti.
Come Penelope.
Mi fermo e le chiedo quanto TESA è lei.
Perché sai, se non ci fai caso, te lo scrivo subito.
Dentro di sé conserva
la tensione.
Non è malvagia la tensione, sia chiaro.
Se hai un arco e devi scoccare la freccia, certo che ti serve una CERTA
TENSIONE per farla arrivare al target.
Serve una CERTA tensione verso le cose cui tieni veramente.
Solo che sta benedetta ATTESA talvolta TENDE così tanto, che ti dimentichi del
target, dell’obiettivo, di ciò che “dovrebbe arrivare”.
E si. Pensaci un momento.
Recupera tutte le attese della tua vita.
Da quelle piccole a quelle più
importanti.
Eri Penelope o Godot?
Eri di fronte al tuo telaio fiducioso di una strategia e di una serie di
azioni apparentemente senza senso che costruivano un progetto, oppure eri di
fronte ad una panchina ad attendere non si capisce chi o quando?
Ecco questo è.
L’attesa a volte si tramuta in un alibi.
Un meraviglioso alibi per restare a guardare cosa accade.
E il problema più
grande è che NON ACCADE NIENTE.
Perché?
Perché TI MANCA una cosa su tutte.
Il focus, un obiettivo vero, qualcosa cui TENDERE DAVVERO.
Te lo dimentichi quando l’attesa è stata così tensiva da sfiancarti, perché
non ne puoi più di aspettare: chi o cosa poi?
Te lo dimentichi che l’unica persona che può ATTENDERE e TENDERE sei tu, MA
devi sapere bene VERSO COSA.
Quel VERSO è tutto il SENSO in cui ti dirigi.
Sei una freccia che va scagliata, certo. Ma decidi bene verso cosa.
Se no finirai nel nulla o a prendere ciò che capita.
L’ATTESA non serve sempre.
Penelope lo sapeva così bene che si era impegnata a fare qualcosa: certo la
disfaceva di notte, ma consapevole del suo piano.
E aveva una cosa in più: la FEDE.
Poteva andarle male, diciamolo.
Lei però non se lo poneva poi troppo il pensiero, perché era orientata a
difendere il suo regno, la sua città, la sua virtù.
Era impegnata a fare se
stessa e agiva prima di tutto per SE STESSA.
Non era lì per un Godot che non sarebbe mai arrivato, verso il quale non
aveva altro che indizi.
Sapeva chi ERA PENELOPE, e lo tesseva nelle sue trame.
Mentre Ulisse costruiva altre storie e altre avventure per mare.
Esisteva oltre Ulisse.
Ecco questo è il senso dell’ATTENDERE: ha valore solo se serve e se è parte
di un progetto.
Vale la pena attendere.
Diversamente smetti di attendere e inizia a far ciò che serve: per
realizzare, pensare e azionare un progetto tuo, che dipenda SOLO da te.
Solo tuo.
Da condividere poi, con l’Ulisse - o la Penelope – che riabbraccerai, il giorno
giusto, dopo l’attesa.